Molti anni fa, un direttore generale dell’azienda sanitaria in cui lavoravo sbottò con un capo dipartimento che si lamentava delle difficoltà a cui quotidianamente andava incontro: “Lei è pagato per risolvere i problemi, non per elencarli”.
Questo dirigente, saccentino e presuntuoso, lanciava proclami nelle riunioni, per poi non perseguirli e scaricare sugli altri i fallimenti.
L’identico sfogo può essere utilizzato verso chi, in politica, ha vinto promettendo meraviglie, per poi lamentarsi delle persone attorno, come se non le avesse conosciute prima: “Ti abbiamo votato per risolvere i problemi, non per elencarli”.
In questa quotidianità, non so se lo avete notato, sono tutti Capitani. Peccato che la storia insegni che sono stati due caporali, nel bene e nel male, a dare dimostrazione di autorità e segnali di decisione.
Quali sono le differenze fondamentali tra un Capitano e due caporali: il carisma, il coraggio, la consapevolezza di un destino, la volontà e la determinazione.
“È durante la tempesta che conosciamo il navigatore”, scrisse Lucio Anneo Seneca, senza dubbio centrando i comportamenti di sedicenti guide e statisti della contemporaneità.
Per arrivare al dunque. Nel momento in cui una gestione governativa non regge, a causa dei franchi tiratori interni, ma anche – non sottovalutiamo – l’accozzaglia di sostenitori raccattati in fase elettorale, diventa indispensabile uno scatto di orgoglio, una presa di posizione che denunci la situazione e i responsabili della stessa.
La magistratura è ormai un corpo a se stante che fa e disfa il diritto a suo piacimento. Il presidente della Repubblica è afono, dentro e fuori il bagno, per dirla alla Sinagra. I ministri con incarichi specifici per il problema migratorio o sono complici o sono assenti o sono entrambi. Alcuni parlamentari colludono con i trafficanti e si pongono al di là della legalità. La prostituzione di molti addetti all’informazione è cosa nota e ben retribuita.
“Noi fummo da secoli / Calpesti, Derisi/ Perché non siam popolo / Perché siam divisi”. Mi pare che, passano i secoli, e a parte un paio di decenni di orgoglio e di gloria, la situazione sia tornata al punto di partenza.
A questo punto si pone il leninistico “Che fare?”. Continuare ad essere zimbello d’Europa e luogo di allevamento per traditori, collusi e affaristi, oppure far saltare il banco e portarsi dove si attacca?
Molti hanno la strizza al culo, soprattutto quei parlamentari che sono stati eletti per un giro di fortuna e non vogliono rischiare l’inaspettata prebenda mensile. Anche sul popolo non si può fare affidamento perché tendenzialmente poco propenso al rischio. Ma altre soluzioni non sono all’orizzonte.
Del resto deve essere chiaro che chi non decide è deciso dagli altri, dagli eventi. Quindi tanto vale rischiare per propria volontà, piuttosto che subire passivamente i ricatti, le minacce e i condizionamenti altrui.