Ormai è guerra aperta tra l’Unione europea e la filiera agroalimentare italiana. Una guerra – è bene ricordarlo – che non ha nulla a che fare con il cambiamento del governo italiano poiché le principali misure erano già allo studio quando a Palazzo Chigi sedeva Sua Mediocrità Mario Draghi, “tanto apprezzato in Europa e nel mondo”, secondo i media italiani di regime. Ora però i progetti contro la cultura del cibo stanno trasformandosi in provvedimenti.
Provvedimenti pericolosissimi per la sopravvivenza dell’intero tessuto imprenditoriale italiano legato all’alimentazione, come denunciano a Mio Italia, l’associazione di categoria di chi opera nei ristoranti, nei bar, negli hotel, nel catering. In un documento firmato da Raniero Albanesi, Federica Cecchi, Mirco Zuffi, Andrea Sinico, Matteo Cervini e Ferdinando Parisella (i vertici dell’associazione), si ricordano i tre ultimi tentativi di abbordaggio di Bruxelles contro il cibo italiano.
Il primo è il Nutriscore, la famigerata etichetta semaforo che andrebbe a favorire persino le bevande gassate delle multinazionali statunitensi ma metterebbe di fatto fuori gioco l’olio italiano, il Parmigiano Reggiano, il prosciutto. Distruggendo, di fatto, tutta la letteratura sui benefici della dieta mediterranea e sostenendo, al contrario, il cibo spazzatura yankee.
La seconda manovra riguarda il vino: dovrà avere una assurda etichetta ed un Qr code che, fortunatamente, nessuno leggerà mai. Ma in Irlanda, con il silenzio complice di Bruxelles, si è deciso di scatenare una guerra contro il vino, piazzando l’etichetta in stile pacchetto di sigarette, “nuoce gravemente alla salute”. In questo caso l’Italia non è sola, perché ad essere penalizzata è l’intera area Sud dell’Europa, dalla Spagna al Portogallo, dalla Francia all’Italia, dall’Austria alla Grecia. Senza dimenticare l’Ungheria. È una reazione stupida, quella irlandese, ad un problema dell’alcolismo che è soprattutto nordeuropeo mentre in Italia, anche a causa dei prezzi, diventa difficile diventare alcolisti con vini sempre più costosi.
Infine è arrivata la porcata del via libera agli insetti. Con la scusa, assurda, della lotta alla fame nel mondo. Assurda perché non è in Europa che si muore di fame, assurda perché costa meno sfamarsi con il grano che non con le porcherie imposte da Bruxelles.
Mio Italia, su quest’ultimo punto, si limita a chiedere che l’utilizzo di insetti nei prodotti alimentari sia indicato chiaramente in etichetta. Non con l’impiego del nome scientifico riportato, per di più, in caratteri microscopici. Convinti, evidentemente, che il consumatore italiano non si farà fregare dalla nuova moda politicamente corretta. Una scommessa rischiosa. Perché è chiaro a tutti, tranne ai miracolati della politica per ragioni famigliari, che il cibo è cultura. E dunque l’assalto dei maggiordomi di Bruxelles è rivolto alla cultura italiana che passa attraverso l’alimentazione. Il buon mangiare, il buon bere, il piacere della condivisione della tavola. È anche una attrattiva turistica, ma è soprattutto uno stile di vita, un modo di entrare in sintonia con gli altri.
Difficile che si possa contare su una campagna mediatica a sostegno di questo stile di vita quando per gli esponenti del governo il mito è rappresentato dall’american way of life. Quando non si osano toccare le multinazionali statunitensi. E quando non si è capaci né di fare sistema né di organizzare una decente campagna di stampa a favore dello stile italiano. Mentre, sul fronte opposto, ci sono già gli esperti di farfalle che, avendo perso credibilità e visibilità dopo la fine dell’emergenza Covid, si stanno trasformando in paladini della crociata contro il vino. Ed albergatori che si fanno intervistare come esponenti dell’avanguardia gastronomica in quanto propinano già aperitivi accompagnati da insetti. “Le cavallette sono come le patatine”, salvo poi lamentarsi perché hanno pagato 100 euro per 7 pacchetti. Eh sì, la fame nel mondo si combatte così..