Il 2018 si è aperto come l’anno della svolta per il continente latinoamericano. In pochi mesi andranno al voto per eleggere il nuovo presidente Paraguay, Venezuela, Colombia, Messico e Brasile alle quali potrebbe aggiungersi il Perù dove Pedro Pablo Kuczynski si è da poco dimesso
Il primo ad andare al voto è stato il Costa Rica dove, contro ogni pronostico, si è riconfermato al governo il Partido acción ciudadana (Partito Azione Cittadina, PAC). La netta vittoria al ballottaggio del suo candidato, e già ministro del Lavoro e dello Sviluppo Umano uscente nel governo di Luis Guillermo Solís, il trentottenne Carlos Alvarado Quesada apre ad un nuovo ciclo che potrebbe coinvolgere le altre nazioni al voto in un effetto domino.
Seguendo il calendario sarà, infatti, il Paraguay il prossimo 22 aprile ad andare al voto. Nello Stato sudamericano la ritrovata alleanza di centrosinistra tra lo storico Partido Liberal Radical Auténtico (Partito Liberale Radicale Autentico, PLRA) e il Frente Guasù (Fronte Ampio, FG) dell’ex presidente Lugo dovrebbe consentire ad Efraín Alegre di superare lo sfidante dell’Associazione Nazionale Repubblicana – Partito Colorado (ANR-PD) Mario Abdo Benitez dopo il mandato dell’imprenditore colorado Horacio Cartes che lo scorso anno aveva cercato di far passare una modifica costituzionale per potersi ricandidare.
Il 20 maggio sarà la volta del Venezuela dove i pochi oppositori al governo bolivariano che hanno presentato la candidatura non dovrebbero avere alcuna chances contro l’uscente Nicolas Maduro che nel corso degli ultimi mesi ha trionfato nelle tornate per l’Assemblea Costituente, i governatori regionali e le amministrative.
Più complicata si profila l’elezione in Colombia dove il ballottaggio è quasi certo e darà vita ad alleanze tra i falchi contrari al mantenimento dell’accordo di pace con le Farc e alla stipula di un accordo con l’Esercito di Liberazione Nazionale e i progressisti guidati dall’ex sindaco di Bogotà Gustavo Petro.
Un vero e proprio terremoto sarebbe la vittoria, finora annunciata da tutti i sondaggi, del populista di sinistra Andres Manuel Lopez Obrador in Messico, dove non è previsto il secondo turno, il 1° giugno.
Infine, sono da seguire con attenzione le dinamiche che porteranno al voto ad ottobre in Brasile, un voto al quale sembra sempre più probabile non parteciperà l’ex presidente Lula, che pure risulta il più amato negli indici di popolarità e gradimento.
Diversa è la situazione del Perù, i cui unici voti previsti erano quelli di ottobre per le regionali e le municipali ma dove si potrebbe andare ad elezioni anticipate in seguito alle dimissioni del presidente liberista coinvolto nell’inchiesta Odebrecht.