Il punto chiave, cari electomagici, non è la meritocrazia, e non è nemmeno la coerenza oppure l’efficacia. Il punto chiave è l’insulto. Il popolaresco vaffanculo, che ci viene lanciato in faccia come uno sputo, ogniqualvolta uno di questi pupazzi, avvolti di tasmanian Loro Piana, si degni di rivolgerci la parola.

Le scelte, le comunicazioni, le nomine di chi ci governa sono un continuo, irridente, strafottente, mandarci a quel paese: è come se i nostri illuminati governanti non perdessero occasione di rimarcarci il fatto che ci considerano razzumaglia. E hanno dannatamente ragione, perché solo i vili si tengono gli sputi in faccia, come facciamo noi.
L’aprire e chiudere l’Italia, così, a vanvera, strapazzando le nostre vite è insultarci: ma molto di più è insultarci il raccontarci che si deve fare per salvare Natale, Pasqua, Ferragosto, accusandoci di inenarrabili infrazioni alle regole, dandoci dei gavazzatori impenitenti, quando, da un anno, ce ne stiamo in casa, come pensionati tremebondi.

Siamo un Paese di sorelle Materassi, disposte a farsi fregare dal primo sorrisino del furbacchione di turno: che, per di più, ci prende anche per il culo quando parla di noi con gli amici. E’insultare chi lavora, premiare chi non fa nulla da mane a sera. E’ insultare la prevenzione sanitaria fare entrare ogni giorno immigrati infetti, senza che nulla trapeli, senza che nulla si dica. E’ insultare la cultura nominare la Borgonzoni, è insultare i professori fare sottosegretario all’istruzione uno che confonda Dante e Topolino. E’ insultarci, sempre e comunque: sono insulti i vestiti della Bellanova, i tweet della Lorenzin, le sfollate geografiche di Di Maio, le belinate giuridiche di Bonafede.
Questo governo è un insulto agli Italiani: questo modo di governarci, come sudditi appecorati ci insulta tutti i giorni. E noi, belanti, ci lamentiamo, ma le nostre lamentele, anziché divenire tempesta, si limitano al piagnucolio vano: più ci insultano e più piagnucoliamo, del tutto dimentichi di cosa voglia dire essere un popolo dignitoso.
Perché non abbiamo più alcun sentimento dei nostri diritti: pendiamo dalle labbra di questi satrapi ridicoli, in attesa delle loro generose concessioni. Non ci sembra vero se un cretino qualunque ci fa sapere che tra una settimana o due potremo andare a trovare i nostri parenti oppure potremo giocare a squash: e gli siamo grati, per la benevolenza che ci dimostra. Se farete i bravi, potrete giocare in cortile. E detto non da un severo maestro, da un inarrivabile nomoteta: ma da un poveraccio senz’arte né parte, finito a comandare non si sa come e non si sa perché.

Ecco, questo è il quadro: becchiamoci gli sputi e stiamo zitti e buoni. Ma, quando verrà la fame vera e quando la disgrazia sarà universale e non solo di qualcuno, allora, forse, il belato diverrà ruggito. E gli insulti torneranno a essere raglio di somaro. Io, sereno, aspetto.