È quasi giunta al tramonto la diversità, che sarebbe dovuta durare almeno fino al 2047, di Hong Kong all’interno della Cina. Il Parlamento di Pechino ha approvato all’unanimità la contestata Legge sulla sicurezza nazionale per punire i reati di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere.
A firmare la legge è il presidente Xi Jinping andando contro le rassicurazioni passate dei funzionari comunisti sulla salvaguardia dei diritti fondamentali.
I 66 articoli della legge sembrano in realtà introdurre limitazioni sull’autonomia della città. La legge non è retroattiva per cui il leader della rivolta Joshua Wong, sentendosi in pericolo, ha sciolto il partito Demosisto. A Hong Kong il 6 settembre si vota per il rinnovo delle Legislative Council e ora i candidati come il giovane Joshua Wong, appaiono “scomodi”, potranno essere squalificati preventivamente con processi per sovversione e collusione con forze straniere. Joshua in passato nel 2014 guidò la Rivolta degli Ombrelli diventando in seguito un leader democratico.
Adesso il partito Demosisto che aveva fondato potrebbe, secondo la norma, risultare sovversivo e secessionista. Joshua in passato, non si è arreso, ha chiesto per diversi anni aiuto al mondo. È stato molte volte sulle copertine dei giornali occidentali. Proprio per questo adesso il leader vede profilarsi la possibilità di essere accusato anche di collusione con le forze straniere a causa delle interviste alla Stampa occidentale. Sono note a tutti le sue interviste italiane all’Agi in cui affermava con coraggio: “ L’Italia stia attenta alle bugie e ambizioni della Cina. Pechino sta sfruttando l’invio delle sue mascherine sanitarie allo scopo di ottenere una futura influenza politica. La generosità insincera ha un prezzo”. Le accuse alla Cina non finiscono qui e Joshua Wong sostiene: “Se il governo italiano mancherà di proteggere la nazione contro le ambizioni autocratiche della Cina, le conseguenze di una perdita di sovranità e di autonomia saranno ancora più disastrose”.
Adesso potrebbe essere messo un bavaglio alla comunicazione con la Stampa internazionale. Gli abitanti di Hong Kong, come Joshua Wong, si sentono in pericolo per questa norma che include pene tra i dieci anni di carcere e l’ergastolo per i trasgressori. Le autorità cinesi rassicurano che solo una piccola minoranza incorrerà nel rigore della Legge nazionale e che saranno pochi i casi ad essere giudicati fuori dal territorio dai magistrati cinesi.
Ma appare chiaro che se i giudici dovessero essere scelti dal governo locale si scavalcherebbe l’indipendenza del sistema giudiziario di Hong Kong. È noto a tutti che Pechino insedierà nella città una sua Agenzia di sicurezza e una sua intelligence che collaborerà con il territorio autonomo. Ecco allora venire meno l’equilibrio di “Un Paese due sistemi”. Gli Stati Uniti si trovano così costretti a revocare lo stato preferenziale commerciale con Hong Kong. Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, avvertendo il pericolo della norma ha bloccato le forniture di high-tec al territorio. Londra ha offerto il passaporto a tre milioni di abitanti di Hong Kong e l’Unione europea teme conseguenze sui propri interessi economici.
Gli abitanti di Hong Kong temevano già da lungo tempo l’influenza di Pechino e la perdita dei diritti fondamentali, come la libertà di parola e di espressione, la libertà di riunione e associazione pacifiche. Privilegi che sono da sempre stati negati in gran parte della Cina. È chiaro che Xi Jinping fosse stanco di fronte alle scene di lotta continua verificatesi nel 2019, prima del coronavirus.
Fino al 1 luglio 1997, Hong Kong era una colonia britannica. Dopo 156 anni, la sovranità venne trasferita alla Cina, con l’accordo di preservare un sistema democratico e un’autonomia economica a Hong Kong. La Cina sembrerebbe ora rivendicare la sua anima di repubblica popolare autoritaria e socialista. Lo status di regione amministrativa speciale è stabilito nella Legge fondamentale di Hong Kong. Il “porto profumato”e i suoi 7 milioni e mezzo circa di popolazione sono governati autonomamente da un’amministrazione principale e hanno una loro politica commerciale.
Adesso se i giudici saranno scelti dal governo locale finirà l’indipendenza del sistema giudiziario e la libertà di espressione democratica da ora in poi sarà solo una facciata. Le manifestazioni degli ultimi mesi infatti sono state definite da Pechino come “atti di terrorismo”. La Repubblica Popolare cinese ha già radunato le truppe al confine. Si teme un intervento militare perché sarebbe l’unico mezzo per assumere un controllo sulla popolazione a lungo termine. Ci vorrà molto coraggio adesso per sfidare questa legge di Pechino che imbavaglia eventuali manifestanti condannandoli all’ergastolo. Un duro attacco contro ogni libertà di espressione.