Il prossimo 20 e 21 settembre gli italiani saranno chiamati alle urne per confermare o meno la riforma del taglio dei parlamentari, che prevede 230 deputati e 115 senatori in meno dalla prossima legislatura. Si tratta del quarto referendum costituzionale della nostra storia repubblicana, dopo quello del 2001 sulla riforma del Titolo V (approvato), quello del 2006 sulla riforma della Parte II (respinto) e quello del 2016 sulla riforma Renzi-Boschi (anch’esso relativo alla Parte II e respinto). Un referendum, questo, che si è reso necessario a seguito della presentazione di 71 firme da parte di altrettanti senatori, dopo che la Camera lo scorso autunno aveva approvato in via definitiva il taglio complessivo di 345 parlamentari.
Non essendo previsto un quorum, visto che si tratta di un referendum confermativo, se i Sì supereranno i No anche di un solo voto la riforma verrebbe approvata mentre, nel caso contrario, tutto rimarrebbe così come è oggi.
In caso di una vittoria del Sì, sarà necessario modificare l’attuale legge elettorale in vigore, il Rosatellum, ridisegnando i collegi visto il minor numero dei parlamentari da eleggere. Votando SI l’elettore acconsente al taglio dei parlamentari. A favore della riforma il Movimento 5 Stelle, la Lega, Fratelli d’Italia, Alternativa Popolare, Union Valdotaine. Molti altri partiti come PD, Forza Italia, Italia Viva e Cambiano non hanno preso una posizione chiara al voto.
Secondo i sostenitori della riforma, con il taglio di 345 parlamentari lo Stato risparmierebbe 100 milioni l’anno e di conseguenza 500 milioni a legislatura. La riforma dovrebbe rendere più funzionale il Parlamento. Secondo i sostenitori del si, oltre il 30% dei parlamentari diserta una votazione su tre.
Chi voterà NO lo farà per mantenere l’attuale numero dei parlamentari: 630 deputati e 315 senatori elettivi, escludendo quelli a vita. Secondo chi voterà NO il vero risparmio dei parlamentari non sarebbe di 100 milioni l’anno ma bensì di 82 milioni che poi, considerando lo stipendio netto e non lordo, arriverebbe a 57 milioni.
La riforma sembrerebbe penalizzare interi territori a causa della riduzione dei parlamentari. Un taglio del genere porterà una sproporzione tra eletti ed elettori e bisognerà riscrivere buona parte dei regolamenti parlamentari. Con la vittoria del SI sarà necessario cambiare la Costituzione per potere cambiare i criteri di elezione del Presidente della Repubblica. Sarà necessario per creare un equilibrio numerico tra delegati parlamentari e delegati regionali.
Secondo alcuni sondaggi sul referendum, emergono dati molto interessanti in relazione all’appartenenza politica. Il 100% degli elettori del Movimento 5 Stelle, per esempio, dovrebbe votare compattamente per il “Sì”, mentre l’elettorato degli altri partiti è più spaccato. La situazione è quasi di pareggio all’interno dell’elettorato del Partito Democratico: il 53% propende per il “Sì”, mentre il 47% voterà “No”.
Nelle forze di opposizione vediamo che sei sostenitori su dieci di Forza Italia diranno SI al Referendum. Per Fratelli d’Italia il 60% dira SI e il 40% NO. Per quanto riguarda la Lega circa il 70% dirà SI e il 30% voterà contro. Renzi non si schiera e lascia libertà di voto a Italia Viva.
L’obiettivo del Referendun è ridurre i costi della politica. Il dibattito è acceso per i rilevanti riflessi sulla difesa dei diritti e della carta Costituzionale. Il referendum è stato voluto da un movimento politico sull’onda di una volontà di scardinare le istituzioni, di combattere gli sprechi, di punire gli eletti di Camere e Senato colpevoli di non tutelare gli interessi di un popolo indistinto e non dei cittadini che sono titolari di “Doveri e Diritti”.
Tutti i Partiti hanno sostenuto, per convenienza elettorale, questo Referendum, ma è stato sottovalutato che la rappresentanza di molti cittadini, di alcune aree geografiche, comprometterà la costituzione e il prezioso lavoro legislativo delle Commissioni parlamentari, aprirà la strada a Premier con ampi, e antidemocratici, poteri.
Il risparmio per lo Stato con la riduzione del numero dei parlamentari sarebbe solo dello 0.007 del suo bilancio e, quindi, cade uno degli argomenti della sua propaganda. Se si volesse davvero ridurre i costi, la strada più semplice e coerente sarebbe quella di diminuire gli emolumenti ai parlamentari. Sarebbe bastata una legge ordinaria, senza modificare la Costituzione. Il risparmio quantificato di 57 milioni l’anno appare modesto, considerando l’ammontare del debito italiano. In assenza di un quadro di riforma, il taglio dei deputati e dei senatori si trasforma in una semplice riduzione numerica incapace di rispondere alla necessità di avere un Parlamento più efficiente.
Il taglio dei parlamentari è lineare. Un taglio privo di una cornice di riforma costituzionale. Innanzitutto, ridurre i parlamentari senza rivedere le funzioni del Parlamento potrebbe dare esiti imprevedibili.
La debolezza strategica del Parlamento non è tanto nel numero quanto nella qualità di chi lo compone. La riforma del taglio dei parlamentari si trasformerebbe quindi in una semplice riduzione numerica indebolendo il Parlamento. Chi ha proposto questo Referendum doveva accompagnare questo intervento a una legge di riforma mirata a migliorare costi, qualità ed efficienza del Parlamento della Repubblica.
Probabilmente un errore pensare che il puro e semplice taglio numerico dei rappresentanti in Parlamento renda più efficace e funzionante la nostra democrazia rappresentativa.
Se la riforma venisse approvata diventeremmo il paese Ue con la maggiore distanza tra numero di deputati e numero di abitanti. Se si riduce il numero dei senatori mantenendo invariate le funzioni del senato si rischia di compromettere il buon funzionamento delle istituzioni. Ricordiamo questo nel momento in cui voteremo SI o NO. Perché tagliare i parlamentari senza prevedere altre misure volte a modificare la struttura e valorizzare il ruolo del parlamento, l’unico risultato che si ottiene è una riduzione della rappresentanza