Sentite un po’ questa, che mi accadde di fresco… Chiedo scusa al Giusti – per me il più grande poeta satirico italiano – per questo plagio malamente rubacchiato…ma mi è venuto così. Spontaneo. Perché questa sorta di raccontino che sto iniziando, è una, minimale, vicenda che mi è accaduta proprio stamani. Quindi poche ore fa…
Dunque. È sabato mattina. Presto. Circa le otto, forse nemmeno. Ed esco. Ho quasi finito le sigarette, e poi devo comprare un paio di cose per casa. E il negozio dei cinesi, lì all’angolo, è sicuramente aperto. In verità è sempre aperto. Tanto che sospetto vi dormano dentro… Il che, per inciso, può fornire una spiegazione sulla differenza fra il PIL di Pechino ed il nostro…

Strade deserte. Per quanto oggi inizi la Primavera, il cielo è bigio. L’aria fredda. Un mezzo vento ti penetra nelle ossa. Per altro è sabato. E a quest’ora qui la gente dorme. O se la prende comoda. Per di più siamo in zona rossa. Bar chiusi, o aperti solo per asporto… e sai che gusto a prendersi un caffè in un bicchiere di carta, per andarselo a bere sul marciapiede. Con ‘sto tempo, poi…
Comunque, come si suol dire, non c’è un cane.
Mi avvio, le mani in tasca. E in tasca anche la mascherina. Portarmela dietro per entrare nei negozi mi tocca. Ma metterla, ora, in questa sorta di desolazione postmoderna, di agglomerato urbano che ricorda film catastrofisti sull’estinzione del genere umano…beh, mi sembrerebbe assurdo. E da cretini.
Dicevo. Non c’è un cane… poi, all’improvviso, un cane compare. Non vicino a me. Sarà a due, trecento metri, nella piazzetta in fondo alla strada.
Chissà perché mi viene in mente il teatro sintetico futurista. Un testo – dramma, commedia, farsa, scherzo presa per… – Mi sono sempre chiesto cosa sia – di Francesco Cangiullo, geniaccio napoletano in quella banda di lombardi e toscanacci capitanata da FTM…
Titolo :Non c’è un cane. Sintesi della notte
Personaggi : quello che non c’è.
Via della notte, fredda, deserta.
Un cane attraversa la via.
Tela.
L’ho riportata per intero. Perché è proprio così. E fu rappresentata. Come abbiano reagito gli spettatori, paganti, è altra storia…
Però rende bene la mia sensazione di stamane. Un cane c’era. Un botoletto bianco chiazzato, che zompettava tutto allegro sulle aiuole.
Distante, come dicevo.
Un paio di minuti e compare, un poco arrancando, anche il padrone. Imbaccuccato in un giaccone, berretto di lana col ponpon, guinzaglio in mano. E mascherina. Di quelle più tecniche, o, se preferite, scientificamente testate. Non come la mia, 0,50 centesimi dal solito cinese, carta velina, per non dire peggio. La sua è una mascherina seria. Si vede anche a distanza. Roba per uno che alla salute ci tiene. E che al Covid ci crede…

Lo guardo da distante. Lui guarda me. Sembriamo due pistoleri di un vecchio Western, la strada del paese deserta, il vento, ci fissiamo da lontano. Solo che Sergio Leone ci avrebbe fatto avanzare lentamente, con il sottofondo estenuante della musica di Ennio Morricone. Lui, invece, mi fissa per un attimo, nota, certo, che non ho la mascherina. Afferra il botolo per la collottola, gli rimette il guinzaglio… E incurante delle proteste e dei guaiti, lo trascina lontano. Un attimo, ed entrambi spariscono dietro l’angolo.
Tela! mi verrebbe da dire.
Tutto qui. Niente, in buona sostanza. Scena ordinaria. Di ordinaria, quotidiana follia, però. E non varrebbe, dal mio punto di vista, neppure la pena di commentare. Anche perché non serve: chi la pensa come me, chi pensa (detto brutalmente) non ne ha certo bisogno. Gli altri, quelli che tutti i giorni ascoltano ansiosi i report sulla Pandemia, beh, non ne hanno bisogno neppure loro…
Però… però mi torna in mente una cosa.
Nel 2000, Robert D. Putnam, uno dei più acuti osservatori della realtà americana, pubblicò un’opera che fece molto discutere. “Bowling Alone”. Che si potrebbe tradurre “L’uomo che gioca a bowling da solo”. Immagine della disgregazione delle relazioni sociali affettive, della crescente solitudine dell’uomo nella megalopoli moderna.
Bene, a me piacerebbe saper scrivere un altro saggio su questa solitudine. Divenuta, ormai, ossessione. E coltivata e sfruttata in ogni modo. Il titolo, però, dovrebbe essere “L’uomo che va a zonzo da solo (per tacer del cane)”. Perché quella descritta da Putnam è la tragedia della modernità. Questa… è una triste farsa. E ci vorrebbe la lieve ironia di J. K. Jerome per descriverla. Dote che, purtroppo, mi manca.