Le canzoni, e massime quelle popolari, spesso non hanno molto senso: si tratta di parole un po’ alla rinfusa, che, tuttavia, hanno la capacità di toccare il cuore della gente e che, per questo, sopravvivono negli anni e, talvolta, nei secoli.
Ma che ve lo dico a fare? C’è già un meraviglioso racconto di Buzzati che lo spiega mille volte meglio di me.
Proviamo, però, a cercare di fare un pochino di chiarezza in una celeberrima canzone, che, nel mondo intero, è assurta a simbolo dei valori sacri di libertà e sacrificio.
C’è uno che si sveglia una mattina e ci trova l’invasor: quella mattina, presumibilmente, è compresa tra l’8 ed il 19 di settembre del 1943, ovvero durante l’operazione “Achse”, quando la Germania, nel comprensibile timore di un voltafaccia assoluto di Badoglio, occupò militarmente i territori dell’ex alleato.
Dunque, il protagonista della canzone si sveglia e si accorge della presenza dell’invasore: cosa abbia fatto nell’immediata vigilia di quella mattina memorabile non è dato sapere. In ogni caso, il nostro sprovveduto compatriota, dopo il 25 luglio e l’8 settembre, anziché allarmarsi per la presumibile reazione dell’ex alleato, pare essersi dedicato ad una disciplinata pennichella, conclusasi con lo sferragliare dei panzer sotto casa. A questo punto, il tapino, preso alla sprovvista, domanda ad un partigiano, materializzatosi improvvisamente, di portarlo via, che si sente di morir: dal costrutto, è difficile dire se la frase indichi un disperato “cupio dissolvi” o una tragica premonizione.
Fatto sta che il dormiglione si sente di morire. Nell’ eventualità morisse da partigiano, dopo essere stato portato via dal partigiano, il partigiano lo dovrebbe seppellir: insomma, prima sembra che a parlare sia una fanciulla (o partigiano, portami via… pare un invito a nozze) mentre si scopre che l’io narrante è, viceversa, un valoroso combattente per la libertà.
L’inumazione dovrebbe avvenire lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior: detta così, o si tratta di un cenotafio lillipuziano oppure, su quella non meglio identificata montagna, crescono genziane di tre metri d’altezza, evidentemente.
Ma andiamo oltre: tutte le genti che passeranno di lì non potranno che esclamare: “O che bel fior!”. E ti credo: una genziana di tre metri! Quello è il fiore del partigiano, morto per la libertà. Amen.
Insomma, la notissima canzone non vuol dire una beata fava: parla di uno/una che si sveglia in mezzo ai nazisti, viene salvato/salvata da un partigiano che lo/la porta via, trasformandosi du tac au tac in figura virile di combattente, fino al sacrificio supremo e alla sepoltura sotto un fiore di proporzioni smisurate. E la gente che passa, esclama, nel delicato patois di alcune nostre valli: ada lè po’ te che fiùr! Alzati che sta passando la canzone popolare…