C’era una volta… le vacanze italiane.
Sì, lo so… vacanze è plurale, e così dovrebbe, per concordanza, andare anche il verbo. Ma la licenza è dovuta alla necessità di dare un, pur vago, tono fiabesco a queste poche righe. Un gioco, uno scherzo… che, di anno in anno, viene riproponendosi sempre più assillante.
Anche perché gli anni scorrono, o meglio fuggono inesorabili (oh Postumo, Postumo , mi verrebbe da dire con Orazio)… e, si sa, quando lungo della memoria è il corso, questa gioca strani scherzi.
Dunque, le vacanze italiane di tanti, tantissimi anni fa…. oddio proprio così tanti non sarebbero, perché basterebbe andare indietro di poco più di mezzo secolo… ma, si sa, il Tempo è sempre relativo alla nostra percezione. Non è, come si vuole credere, qualcosa di rigido. Meccanico. E questi cinquant’anni (o poco più) sembrano, a guardarli, ben più di alcuni secoli del passato. Perché le differenze tra allora ed oggi sono profonde. Abissali. E quelli come me, che questi decenni si sono ritrovati a vivere, stentano a raccapezzarsi. A conciliare la memoria con il presente.
Il problema è stato causato dalla Tecnica. Il suo sviluppo vorticoso, ha cambiato radicalmente, il mondo in cui viviamo. La Tecnica, sottolineo. Non la Scienza, di cui oggi tanto ci si riempie la bocca. Perché quanto a Scienza e Conoscenza se ci si dovesse misurare con i primi del ‘900, si farebbe una ben magra figura. Ma la Tecnica, appunto, è altra cosa. Come spiegava bene già Platone.
E così, in cinquant’anni, il nostro mondo è diventato più ristretto. Le comunicazioni pervasive. Gli spostamenti sempre più rapidi. E la nostra vita è cambiata in modo molto più radicale che in tutti i secoli che vanno dal crollo dell’Impero Romano sino al Secolo dei Lumi…
Ma non è di questo che voglio discorrere. Piuttosto, delle Vacanze italiane.
Come erano. O, per lo meno, come ancora un buon numero di noi se le ricorda.
Avete mai letto “Fratelli d’Italia” di Alberto Arbasino?
Tranquilli, pur essendo un grande libro, uno dei pochi capolavori del secondo ‘900, a leggerlo siamo stati in pochi. Arbasino è troppo sperimentale. Surreale. Barocco, in fondo.
Intanto, per inciso, vi assicuro che nulla ha a che vedere col partito di Giorgia Meloni. Anche perché Arbasino lo scrisse nel 1963. Quando la Signora Meloni manco era nata. Anche se poi lo ha riscritto, ed ampliato, per buona parte della sua vita. Sino agli anni ’90.
È la storia di una vacanza…
Prevengo l’ovvia, obiezione. I due amici, protagonisti del libro, sono palesemente omosessuali. E questo, nel lontano ’63, fece scandalo. E non poco. Oggi tutto è diverso… anzi Arbasino avrebbe potuto diventare un modello, un mito culturale di questa nuova temperie… fluida. Non fosse stato che era un grande scrittore, e un gran signore. E questo contava più delle predilezioni sessuali. Tanto che, al primo Word Pryde italiano, lo definì, brutalmente “Orgoglio del culo”.
Comunque è la storia di una, lunga, vacanza. Di due che se la potevano permettere, ovviamente. Ma che diventa pretesto per descrivere l’Italia degli anni ’60. E dei decenni immediatamente successivi.
Era l’Italia che chiudeva in Agosto. Gli assalti ai treni per il Sud, con gli immigrati meridionali, fagocitati dalle grandi fabbriche del Nord, che tornavano per le ferie nei loro paesi.
Le interminabili file di automobili, per lo più utilitarie. Ché la macchina era il primo, vero, segno del benessere di un paese finalmente usciti dagli stenti del dopoguerra.
Le scuole chiuse per tre mesi ed oltre. Senza che questo abbia mai nuociuto alla preparazione dei ragazzi… anzi.
Le code, nelle località balneari e montane, davanti alle rare cabine telefoniche. Per chiamare chi era restato a casa. Con una manciata di gettoni (li ricordate?).
Era il paese delle pensioncine. Spesso senza neppure il bagno in camera. Tanto si andava in acqua al mare, e ci si faceva la doccia in spiaggia.
Delle famiglie che andavano sul bagnasciuga con lasagne, polpettoni, torte. E fiaschi di vino o bottiglioni di birra a buon mercato.
Del quotidiano comprato la mattina. E letto sulla sdraio o seduti su un prato tra i larici. Spesso, più di uno. Perché c’era il giornale per la cronaca, e quello sportivo. In estate il campionato riposava, niente schedine del Totocalcio… e gli appassionati cercavano di riempire il vuoto con i sogni, e le interminabili discussioni, del calcio mercato.
Pochi andavano all’estero. Certo, c’era la costa slovena. E quella croata. Si favoleggiava che tutto costasse molto meno. Ma le attrezzature alberghiere… per carità di Dio! E poi ci voleva il passaporto… e cambiare le nostre lire nella moneta locale.
Le ferite della guerra ancora aperte.
E ancora meno potevano permettersi l’aereo. Viaggi lunghi. Mari del Sud. Isole incantate… quelli li vedevi al cinema. Che erano cinema parrocchiali in montagna. E all’aperto al mare. Un tendone dove veniva effettuata una proiezione abbastanza scrausa di vecchie pellicole. Sedie dure di legno rimediate dal rigattiere. Se volevi stare più comodo, il cuscino te lo dovevi portare da casa.
E, poi, un gelato. In cono. E i gusti erano pochi, tradizionali. Ma era quello il dolce dell’estate. Ché mica si facevano, e consumavano, gelati tutto l’anno…
Arbasino racconta questo, e ben altro, con l’occhio, distaccato ed ironico, del Gran Borghese. E, per di più, Gran Lombardo. Come il suo, amato, Gadda. Come Manzoni. Ottica aristocratica. Non priva di un velo di, sarcastica, compassione.
Oggi non so che scriverebbe. Di queste vacanze mordi e fuggi. Una settimana, grasso che cola. Ma avevamo piscina e S.P.A, e devi vedere il buffet al ristorante, e, poi, la crociera alla portata di (quasi) tutti… e Sharm è bellissima, ma vi ho incontrato metà del mio paese… peggio che a Jesolo… e comunque dove eravamo non c’era campo per lo smartphone, un tormento…
Le vacanze di oggi… o, per lo meno, i bisogni che ci sono stati inoculati, come un vaccino MRNA, e che ci trasciniamo dentro. Anche se il mondo sta nuovamente cambiando in modo vorticoso. In poco più di un ventennio. Sempre più pericoloso, insicuro. E con un divario sempre maggiore tra chi può e chi non può.
Anche se ci dicono che ci dovremo abituare ad uno stile di vita più sobrio. Ovvero povero. E ce lo dicono quelli che consumano la maggior parte delle risorse.
Ma c’è la guerra… e c’è stata, forse c’è ancora, la pandemia. E noi dobbiamo ridurre le pretese. Ci dicono quelli che guerra e pandemia arricchiscono sempre di più. E che, malthusiani consci o meno, pensano che siamo in troppi. E che per vivere bene (loro), dobbiamo drasticamente diminuire di numero. Noi.
Chissà che scriverebbe, oggi, Arbasino. E, soprattutto, cosa ricorderà tra cinquant’anni, mio figlio di queste… vacanze italiane….