I giorni, le settimane, che vanno da Ognissanti al Natale sono, da sempre, popolati di fantasmi. È la loro stagione. Il periodo dell’anno in cui si aggirano tra i (cosiddetti) viventi con maggiore… libertà. Perché ogni stagione ha le sue presenze magiche. Numinose. In Estate, nei boschi, danzano fate e folletti….o, almeno, così ci racconta Shakespeare. Che su queste cose, queste tradizioni – Mezza Estate, Dodicesima Notte…- la sapeva assai lunga. Non era solo un, grandissimo, poeta. Era anche altro. E Paul Anderson, uno dei maestri del Fantasy, lo intuisce nel suo, scintillante, “Tempesta di Mezza Estate”.
Dunque, il tardo Autunno, che diviene ogni giorno di più Inverno, è la stagione dei fantasmi. In cui questi si rivelano con maggiore facilità. In cui, si potrebbe dire, dominano il palcoscenico notturno del Mondo.
Non è casuale che proprio in queste notti, in questa stagione di brume e di prime nevi, molti scrittori abbiano ambientato i loro racconti di fantasmi
Dal classico Dickens a Henry James. Senza dimenticare Conan Doyle – che non è solo riducibile a Sherlock Holmes – un umorista del calibro di Jerome K. Jerome, H. G. Welles, che inventò la moderna fantascienza. E, soprattutto, il genio di un Oscar Wilde ancora agli esordi, ma già capace di un piccolo capolavoro come “Il fantasma di Canterville”.
Castelli, brughiera, nebbia…la tradizione dei fantasmi anglosassoni è particolarmente ricca. E famosa. Fantasmi che, appunto, in notti come questa, di tardo autunno, sembrano affollarsi, dominare la scena. Un attesa delle campane del mattino di Natale. Come lo Scrooge dickensiano..
Tradizione radicata. Forse per il clima nebbioso. Che evoca l’evanescenza dei corpi (diciamo così) dei fantasmi. Da sempre concepiti, e da alcuni visti, come. . nebbia . Come una sorta di respiro denso, che abbandona il corpo materiale dopo la morte. Ma ne mantiene, almeno in apparenza parte, la forma. E continua a vagare, in preda ad una inquietudine senza pace.
Tradizione tutta britannica, dicevo. Non per nulla era uso antico – forse eco residuale di anima celtica – raccontare storie di fantasmi la sera della Vigilia. Il capolavoro di Dickens viene dà lì. Ed anche gli altri suoi “Racconti di Natale”. Tutti, più o meno, storie di fantasmi.
Ma anche qui da noi, in varie regioni d’Italia, dal Triveneto alla Sicilia, i fantasmi venivano con l’inoltrarsi dell’Autunno. La tradizione dei filò, o, fuori dalle Venezie, falò .
Nelle campagne, quando cominciava il freddo, le notti di vento e pioggia, ci si riuniva presso il fuoco della cucina. O anche nelle stalle, ché non vi era riscaldamento centrale,e gli animali donavano calore.
Lì si tirava l’ora di andare a dormire, con i vecchi, e soprattutto le vecchie, che raccontavano storie tramandate per generazioni. Ed erano, certo, storie di tutti i tipi. In una linea che va, a ben vedere, dal Boccaccio sino al Fabio Tombari di “Frusaglia” e de “Il libro di Tonino”. Ma tra queste, inevitabilmente, prevalevano quelle fantastiche. Fiabe e, vista la stagione dai Morti a Natale, racconti di fantasmi.
Nelle culture antiche, e, sino a non molto tempo fa, in quelle popolari, i fantasmi erano degli strani coinquilini. Amici un po’ bizzosi, talvolta irosi e spaventosi, che abitavano nostri stessi luoghi. Castelli, Chiese, vecchie case. Solo che li abitavano di notte. Quando gli uomini dormivano. Talvolta silenti. Talvolta di disturbo o turbamento. Ma facevano, comunque, parte del mondo. Non erano (vorrei dire: non sono) mostri alieni…
Tutt’altra cosa gli spettri che si aggirano nelle città moderne. Città caotiche, impersonali. Più simili a, disordinati, formicai che a luoghi per la vita degli uomini.
Sono deserti, le moderne città. Deserti di uomini. Nel senso che, come dice la profezia del Rig Veda, puoi camminare per chilometri… senza incontrare uomini.
Incontri, però, spettri. Parvenze di vita prive di sostanza. E di coscienza. Involucri di carne ed ossa, forse. Che possono, a tutta prima, apparire reali. Ma guardate i loro occhi. Vacui. Vuoti. Allucinati. Non vi si legge altro che paura. Una paura indicibile. Che non trova parole per spiegarsi. Che non ha, alla fine, spiegazioni.
Spettri. Che trascinano un’esistenza monotona. Priva di colore. Per certi versi, appunto, spettrale. E vi stanno aggrappati con una disperazione e una tenacia decisamente degna di miglior causa…
Preferisco i Vecchi fantasmi. Nelle loro storie, raccontate accanto ai fuochi, in un autunno nebbioso, ci sarà pure un certo cigolare di catene rugginose, qualche urlo agghiacciante nella notte. Qualche brivido. Ma vi è anche, decisamente, molta più vita.