“Nuovo Cinema Paradiso”. Ve lo ricordate? Il capolavoro di Giuseppe Tornatore. Struggente, evocativo. Nostalgico. Era il 1988. E vinse l’Oscar. Meritatamente.
Ruotava tutto intorno ad un vecchio cinema di provincia, chiuso da tempo. Che stava per venire abbattuto, perché fatiscente. Il protagonista – il regista stesso di fatto, perché è storia in fondo autobiografica – torna nella sua cittadina di origine. Per vedere e ricordare. Intorno a quel cinema si avviluppano i fili del suo passato, le emozioni, le memorie, gli amori e i dolori. E quelli di tutta una comunità intorno. E da lì, si intuisce, si dipanava la tela del suo destino. E non solo del suo. Quel vecchio Cinema diventava una sorta di fuso della Parca.
Certi edifici, luoghi, assumono, nella memoria personale e collettiva, un valore simbolico. Che va molto al di là della loro funzione pratica.
I vecchi cinema sono uno di questi luoghi. Ormai da tempo scomparsi. Sostituiti dalla moderne multisale. E già prima dell’avvento dei tablet e computer, in declino a causa della televisione. Ridotti, spesso, a sale a “luci rosse”. Tristi ritrovi di uomini soli, o di gruppi di ragazzacci in vena di fare gazzarra. Poi sono arrivati Youporne e affini. E anche quel residuo di vita, ormai larvale, ha avuto termine.
Restavano gli edifici. Che erano particolari. Perché venivano costruiti per essere, al contempo, cinema e teatri. E con un gusto prevalentemente Liberty. Era lo stile degli anni antecedenti la seconda guerra. Certo, il Liberty, quello vero, viene prima. Ma nel gusto popolare diventa moda diffusa tra i ’30 e i ‘ 40. E poi era uno stile grandioso. Pieno di ornamenti, volute, dorature, decora. Orpelli. Pesante, e, ad essere sinceri, alquanto kitsch. Ma dava un senso di importanza al luogo. Ne faceva una sorta di moderno tempio popolare. O, se vogliamo usare uno stereotipo che mi piace ben poco, nazional-popolare.
Nella mia città, Mestre – che non era solo la periferia degradata di Venezia, ma una cittadina vera, con la piazza porticata, e lunghi viali alberati, un parco, il Ponci, con laghetto e bosco, poi distrutto per fare un parcheggio… – di cinema ve ne erano sette, otto. Ma quello per eccellenza era l’Excelsior, nella Piazza. Piazza, per inciso, che ha mutato, nel tempo, vari nomi… ma che per noi era, semplicemente, la Piazza. Ed Excelsior era un nome proprio da cinema /teatro principale.
Intendiamoci. La facciata aveva una sua grandiosità, con quelle decorazioni che venivano fuori dal porticato come dei serpenti in cerca del povero Laocoonte. Ma l’interno era sobrio. Poltroncine più comode in platea, con una imbottitura in simil pelle. Austere di legno in galleria. Perché allora si distingueva. E si pagava a seconda del posto. La bigliettaia, seduta nel suo gabbiotto all’interno, distribuiva lunghi e sottili tagliandi di carta di colore diverso. Arancio per la galleria, azzurro per la platea. Mi sembra di ricordare una bionda avanti negli anni, platinata, le labbra di rosso acceso… Ma potrebbe essere uno scherzo della memoria, un sovrapporsi di frammenti di un film di Fellini… Poi, la Maschera, ti strappava il biglietto, e, se la proiezione era già iniziata, ti accompagnava al tuo posto facendo luce con una torcia.
Già… allora si poteva entrare a film iniziato. E poi restare lì a rivederlo dall’inizio. Quando eri entrato, ci potevi restare quanto volevi. Senza che nessuno ti disturbasse, sino al termine dell’ultima proiezione. A notte fonda. Qualcuno ci dormiva nei cinema, al tempo. Mariti buttati fuori casa dalle mogli, che differivano il più possibile un difficile rientro. Perdi giorno che vi smaltivano la sbronza… gente così, gente di provincia…
Ho molti ricordi del Excelsior. Andarvi, da bambino, era una festa. Una grande occasione. Mi vestivo bene. Non era come il piccolo cinema parrocchiale dove mi portava il nonno…
Ricordo che vi andai con mio padre a vedere un film sull’impresa dei MAS italiani a Gibilterra . E alla fine vi era Durand de La Penne in persona, la medaglia d’oro, che spiegava come la ricostruzione fosse edulcorata. Troppo filo inglese…
E vi andai con la mia prima ragazza. Marina, che ora non è più, come ho saputo dopo decenni che ci eravamo persi di vista. Non ricordo il film. Solo il tentativo di rubare qualche bacio nella penombra. Avevamo sedici anni…ed eravamo felici…
Tanti ricordi che si affollano. I miei fantasmi, evocati da una notizia che mi è appena caduta sotto gli occhi. L’edificio che fu il cinema teatro Excelsior, ormai da tempo abbandonato e fatiscente, sta per venire abbattuto. La mia città sta per perdere un altro pezzo della sua anima.
1 commento
Molti, non più giovani, certamente troveranno qualcosa di se stessi in questo articolo.Anche io, sebbene con le differenze dovute al mio paese,molto piccolo, non una città come Mestre.Il mio era un cinema già in n via di chiusura negli anni della mia preadolescenza.Era gestito da due sorelle “zitelle”,come venivano indicate a quei tempi e che pure avrebbero potuto essere personaggi felliniani.Ma non è questo che voglio sottolineare, giacché è già ben evocato ed è persino,per me, un assaggiare qualcosa in più.
Voglio, invece, soffermarmi sul Tornatore,divenuto ormai espressione del nostro tempo, il tempo della menzogna che viene venduta come unico e corretto verbo.
E,il caro Giuseppi,anche lui da ribattezzare alla stregua di un altro suo omonimo, si è fatto portavoce,a suon di eur(i),della narrazione del nuovo sacro Graal, tra svolazzi di tende in plastica a protezione di anziani, messi in presunto pericolo da abbracci di giovani nipoti.
Una società di anziani,non di Vecchi.
Un cinema italiano ormai dominato da stridule grida di attori dai nomi importanti, ma che,di fatto,non lo sono affatto o ,di certo,non lo sono più.Sono tutti espressione dei vari red carpet sui quali si vendono, FINTI.
Pezzi di noi, dei nostri ricordi,del COME ERAVAMO,quell’ Excelsior che se ne va.
Un altro pezzo dell anima della città.
Un’ultima frase che mi ha fatto pensare ad una poesia del poeta greco K.Kavafis, intitolata proprio– LA CITTÀ–(mentre Ghiannis Ritsos ha dedicato versi ad un’altra forma di Città…)
Quella che resterà sempre con noi.
NOI.