È tornato. E cavalca ancora, come ai tempi, ormai remoti, del Cavaliere Pallido.
È tornato, ha passato i novant’anni, ma sta ancora in sella come il ragazzo diretto da Sergio Leone in film che sono, ormai, più che storia, leggenda.
Clint Eastwood torna con un nuovo film, uno strano Western triste e crepuscolare, con un forte impianto pedagogico ed etico. Il vecchio campione di rodeo che si trova a proteggere un figlio di papà viziato. E, così facendo, si misura col senso ultimo della sua lunga vita. Una pellicola, questo “Cry Macho”, che per certi aspetti dovrebbe ricordare il suo ultimo capolavoro, “Gran Torino”. E, in effetti, l’autore del copione è, ancora una volta, Nick Sheik, che lo ha tratto da un romanzo di Richard Nash. Una storia cui, però, Eastwood pensava da almeno tre decenni. E che solo ora è riuscito a portare sullo schermo.
Questa, però, non è una recensione. Anche perché il film è uscito negli States appena il 17 Agosto. E da noi arriverà, presumibilmente, ad Autunno. Stagione perfetta, mi permetto di chiosare, per un Western dai colori autunnali.
Quello che conta, per me, è la faccia del Vecchio Clint. Dura, tanto da sembrare scavata nella roccia. Da secoli di piogge e vento. Sergio Leone, che lo rese celebre, diceva che aveva solo due espressioni : con il sigaro e senza. Ma con quel volto, negli anni, Clint ha saputo emozionare, esaltare, commuovere. È stato Henry Callaghan, la Carogna, in una serie di pellicole memorabili, violente. Capaci di dare voce ad un’idea della giustizia e ad un’etica che faceva inorridire i liberal benpensanti. Di cui lui, però, mai si è curato. Ed è stato il protagonista maschile, oltre che il regista, di “I ponti di Madison Country “. Una struggente, e sottile, storia d’amore, con accanto una Meryl Streep straordinaria. Altro che due sole espressioni…
Ha incarnato, e continua ad incarnare alla sua non lieve età, l’ideale di un Uomo con la maiuscola, che nulla concede alle mode e alle vanità intellettuali, ancor meno alle paure e agli opportunismi di ogni risma.
È l’altra America. Quella che mi piace. Quella non della Cancel Culture, che poi è una grave, e pacchiana, aporia logica. Cancellano, o vorrebbero cancellare, ciò che non hanno. Ciò che non hanno mai avuto e mai avranno. Ma non è neppure l’America di Rambo, dell’eroe convinto di avere ragione per diritto divino.
I personaggi di Eastwood, tutti, anche i più duri, come Callaghan, agiscono in base ad un ethos, ad una precisa scelta. Che costa loro sofferenza. Il sacrificio di una parte della loro umanità.
Non sono super uomini. E non sono quaquaraquà. Solo Uomini. Veri.
E sono capaci di capire l’altro. L’antagonista non viene mai né demonizzato, né tantomeno ridicolizzato. Combattuto, certo. Se necessario ucciso. Ma mai disprezzato. Molto di etica omerica in questo, poco di quella del mondo moderno. E lo si può vedere nel capolavoro di Eastwood regista, il dittico sulla battaglia di Jiwo Jima.
Poi, sinceramente, mi sembra significativa questa scelta di tornare al Western. Di tornare a cavallo. In un mondo occidentale di vecchi tremebondi, terrorizzati dalla morte, pronti a sacrificare l’avvenire delle giovani e future generazioni per poter campare qualche mese di più, inutilmente, il novantenne Clint si presenta a cavallo. Fiero. Deciso a tutto per salvare, ed educare un giovane. Senza paura e senza maschera.
Forse vuole dirci qualcosa…