“Io sinceramente a Dante faccio fatica ad accostarmi. Forse perché non me l’hanno mai spiegato bene…”
G. M., la mia amica polemica, quella che mi scrive sempre su temi difficili. E che mi ricorda certe mie allieve… Cosa che, per altro, vista l’età, avrebbe potuto tranquillamente essere.
“Me l’hanno sempre reso noioso… Ora vorrei davvero leggerlo. La Commedia, per intero. Ma…” e qui tira fuori un’immagine che mi sorprende “ogni volta che mi avvicino ho come la sensazione di trovarmi davanti un velo. Massiccio, pesante. Che non riesco, nonostante gli sforzi, a sollevare…”
Mi colpisce perché, forse senza volerlo, ha citato proprio Dante. “O voi che avete gli intelletti sani / mirate la vertade che s’asconde / sotto al velame di lì versi strani…” (nota. Cito, al solito, a memoria. Per cui non andate a cavillare. Anche perché il testo della Commedia presenta numerose varianti, mica solo quella che vi viene propinata al liceo…)
E questo “velame” colpì talmente il Pascoli che usò proprio “Sotto il velame” come titolo di uno dei volumi della sua Trilogia dantesca. Insieme a “Minerva Oscura” e “La mirabile Visione”. Cui si aggiungono, per altro, scritti e conferenze sparse. Ma questa è la trilogia, curata dalla sorella del poeta, Maria o Mariù, come a volte la chiama. Quella, per intenderci, di “La digitale purpurea”, che ha fatto spargere fiumi di inchiostro. E di illazioni….
Comunque, torno, al “velame”. Che Dante non sia facile è cosa ovvia. Che la sua poesia sia velata, e quindi celi molti significati e piani di lettura, lo dice lui stesso. Nel Convivio, se non erro, ove parla dei quattro “sensi” in cui leggere un testo. Letterale, allegorico, morale, anagogico. Parla in generale, ma sta spiegandoci come va letto lui. La Commedia, in particolare.
Perché, preso alla lettera, ci troviamo di fronte ad un Romanzo. Un Romanzo d’avventura senza pari. Forse paragonabile solo all’Odissea. Ed è un grande tessuto di allegorie, metafore, simboli. In sintesi tutta la cultura del Medioevo. E non solo. Poi è opera di grande magistero morale. Il bene e il male. Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Insegna la virtù. Quella che non muta nel tempo. Che non è contrattabile, modificabile con un DDL…
E infine l’anagogia. Parolona difficile. Per un concetto ancor più complesso. Che tradurre, come è uso, semplicemente come “lettura in senso spirituale di un testo” risulta riduttivo. Peggio, fuorviante. Perché le parole diventano vive. E si fanno “porte”. Soglie da varcare per giungere non ad una comprensione intellettuale. Bensì ad una diretta, e sconvolgente, esperienza.
Pensateci un poco…. Le immagini che usa Dante sono prese, certo, dal repertorio della cultura della sua epoca. Una sintesi che il Medioevo cristiano ha fatto della tradizione greco – latina. Senza dimenticare gli arabi e i persiani. Il cui apporto è tutt’altro che trascurabile. Anzi, proprio questo concetto di “velame” mi sa proprio che viene da loro. Mi ricorda i veli che celano il volto di Allah, ovvero di Dio, dell’Amato. Cose che si trovano nei grandi sufi. İbn Arabi, Rumi, Al-Hallaji… E anche per quello che riguarda il tema della Donna angelicata, ci sarebbe da pensare alle Uri islamiche. E alle Fravashi zoroastriane….
Tuttavia il Poeta usa tutto questo repertorio con un vigore insolito. Poemi allegorici, nell’epoca sua, se ne scrivevano a staja. In latino e volgare. Si vada a vedere Bernardo Silvestre o Jacomino da Verona…
Ma in Dante le immagini, le citazioni, la cultura erudita diventa altro. Prende vita. Lui incontra davvero Caronte e Minosse. Vola abbarbicato sul dorso del Drago Gerione. Incontra davvero Beatrice nel Paradiso Terrestre. E la sua emozione, le sue lacrime sono reali.
La potenza di Dante sta nella sua capacità di esprimere la vita. A tutti i livelli. Terreni e non.
E, certo, ci racconta storie ben strane. Un velame, un insieme di veli che celano molto. Pesanti da sollevare. Perché non vanno sollevati con la ragione. Vanno attraversati d’impeto. Come se si fosse con Dante, al suo fianco, alla battaglia di Campaldino. O in uno scontro in armi per le vie di Firenze….
Arridaie… dirà il Direttore. Ma stai proprio in fissa con sto’ Dante…. Cominci a diventar pesante…
Beh, in fondo è una ricorrenza, un anno dantesco. E mica è colpa mia se mi fanno domande. Rispondere è cortesia…
E poi questa rubrica si chiama “Desideri di Luce”. Certo è Catullo. Ma è anche il senso del viaggio dantesco….
1 commento
Parto dal fondo, per dire, anzitutto, che considero fortunato/a chi riceve risposte, giacché nella vita non è affatto scontato ed anzi, spesso si è destinati ad interrogativi che si duplicano di volta in volta,in un crescendo che alla fine porta ad un punto di rottura.Forse perché la velatura si compone di diversi strati,che ci danno la sensazione di non giungere mai, di ritrovarci addirittura sempre allo stesso punto,scala infuocata senza fine.
Difatti,a volte d impeto ci pare di squarciare quel velo, per un attimo ci giunge una visione,le parole fluiscono dalle nostre mani come fossimo un tramite,corpo animato da altro.
Ed è forse proprio la conoscenza che viene descritta nell articolo, quella che non passa per la ragione,ma che per un attimo ci possiede,parole che sono chiavi e che generano la nostra visione nitida, oltre il velo di Maya.Parole che in altri momenti non saremmo in grado di comprendere, né di pronunciare le nostre.E che, in seguito,nel rileggerci, neppure ci sembrano nostre.Ma, mentre scrivo questo, penso anche alla” nostra”(intendo solo mia, stavolta) presunzione determinata dal credersi anche troppo, dal avere fin troppa considerazione di sé, mentre si arriverebbe a tacere del tutto,dinanzi ad una visione sempre più completa.
Che,poi, io non so nulla di Dante come dei Sufi, di Omero o dell’ Islam.E parlo…la dice lunga sul mio livello…
Cmq salgo ancora,in questa analisi in forma di salmoni, per giungere al titolo, parola da cui si è mosso tutto.In italiano, infatti,a volte un termine assume due significati solo spostando un accento tonico.
Da parola piana leggiamo VELÁMI,mentre da sdrucciola VÈLAMI, ossia la voce dell’ imperativo esortativo, e se ci mettiamo una S, possiamo persino giocare dicendo di “lasciare”cadere i veli,che è l arte della Vita, ossia dell’ Amore.
Detto così,il titolo mi ha riportato anche un forma antica e strettamente dialettale con cui si designava l albume dell uovo.In effetti, a pensarci, è una sorta di velo o veli sovrapposti.
L immagine del Cristo Velato della Cappella Sansevero,credo, l ho riconosciuta senza esitazione, un alchimista,l autore, mi pare si racconti.Ora che ci penso, ci sono anche stata, ma l avevo completamente dimenticato,e non ho che una vago ricordo,come pure di quegli anni,ante nuovo Millennium,perduti inutilmente, esattamente come il tempo odierno.