Una sfilata di albergatori, ristoratori, operatori turistici. Tutti concordi: “mancano i turisti ed il settore è in crisi”. Triste realtà italiana, conseguenza inevitabile delle misure imposte da Speranza e dalla banda che lo circonda. Già, ma il servizio del Tg riguarda Venezia. Ossia una delle mete preferite dai viaggiatori di tutto il mondo. Ed è curioso questo lamento generale, dal momento che il prode sindaco Brugnaro ha deciso che, da giugno, per metter piede in laguna bisognerà pagare un biglietto. Come se si entrasse in una sorta di museo totale.

Sicuramente un incentivo per raggiungere la Serenissima. Si paga il viaggio, se si arriva in auto si paga a caro prezzo il parcheggio, si paga il biglietto di ingresso, si strapaga il tragitto in vaporetto, si pagano gli accessi ai musei, si strapagano pranzi e cene non sempre di eccelsa qualità, si strapagano souvenirs Made in China e spacciati per opere artigianali di Murano. Poi, però, ci si lamenta se qualche turista comincia ad avere problemi economici che rendono improponibile una vacanza a Venezia.
Certo, è la città più bella del mondo. Ha storia, fascino, arte, cultura. Magari è un po’ scadente sul piano della nuova offerta culturale contemporanea, ma non è facile competere con un passato unico ed irripetibile. E gli spazi sono limitati. In una normale giornata di turismo pre-Speranza era necessario mettersi in coda per riuscire a fotografare il Ponte dei Sospiri o per potersi affacciare dal Ponte di Rialto.
Però invece di lamentarsi sarebbe più utile stabilire cosa si vuol fare di Venezia. Il continuo calo dei residenti in Laguna indica che si vuole andare verso la musealizzazione totale. Una sorta di Disneyland per turisti danarosi. E l’acquisto dell’hotel Danieli da parte di Bill Gates va appunto in questa direzione. Non una città viva ma un museo costoso, dove le attività commerciali passano di mano e diventano di proprietà di cinesi ed americani. Dove non c’è posto per i veneziani e tantomeno per i turisti italiani. Che, avendo una capacità di spesa ridotta, non sono più i benvenuti. Anche perché gli italiani, se vanno al ristorante, amano mangiar bene. E non sempre è possibile farlo laddove i flussi sono continui, eccessivi, con un servizio non impeccabile.

Però la Serenissima meriterebbe qualcosa di più e di meglio rispetto all’inserimento dei tornelli per far cassa a spese dei visitatori. Anche perché l’alibi del Covid verrà meno e la mancanza di un rilancio della produzione culturale non avrà più giustificazioni. Ospitare grandi rassegne, dal cinema all’arte, non significa “produrre cultura”, ma solo essere un bellissimo contenitore di qualcosa pensato e realizzato altrove. D’altronde diventa difficile fare cultura a Venezia se i veneziani si trasferiscono in terraferma, se la città più bella del mondo è solo una quinta teatrale, se le uniche attività ammesse sono quelle commerciali di chi, della storia della Serenissima, non conosce assolutamente nulla.