Non è facile vivere in un museo, tra un eccesso continuo di visitatori e l’obbligo di conservare tutto come è, per non scandalizzare i turisti e non suscitare critiche. Però una città che si trasforma in un museo è una città morta. E Venezia, da troppi anni, ha rinunciato a vivere in nome del business.
Solo un enorme e magnifico museo, neppure molto ben tenuto, ma senza slanci.
Il massimo del cambiamento offerto dal sindaco è l’introduzione dei tornelli per disciplinare la folla nei giorni di maggiore afflusso. In compenso si ritarda l’eliminazione delle grandi navi dal centro cittadino per non perdere neppure un turista, come se non ce ne fossero anche troppi.
Ma quanto a slanci vitali, a proposte culturali nel senso di produzione locale di cultura, non si vede praticamente nulla. Il cinema al Lido è semplicemente una occasione di passerella per attori, registi e giornalisti che possono essere in Laguna o sulla Croisette senza alcuna differenza. Anche l’arte è semplicemente ospitata, non fa più parte della cultura dei veneziani che, non a caso, continuano a ridursi sulle isole per trasferirsi in terraferma. Anche solo a Mestre, trasformata in una città multietnica priva di slancio vitale e ridotta a un dormitorio pericoloso.
Mentre a Venezia passano di mano, e diventano stranieri, ristoranti, bar, negozi. È vero che Venezia è sempre stata una città marinara e mercantile, dunque con la presenza di stranieri in arrivo da ogni dove. Che si trattasse di tedeschi o turchi, di francesi o di africani. Oltre agli italiani di tutti gli Stati di allora. Ma la città non rinunciava a produrre cultura, ad offrire al mondo pittori straordinari o le commedie di Goldoni mentre sui mari il Leone celebrava le sue vittorie.
Altri tempi, certo. Ma ben più di recente Nicoletta Strambelli, da bambina, poteva passeggiare per Venezia con la nonna e fermarsi per parlare con Ezra Pound o con Angelo Roncalli. La bambina sarebbe diventata Patty Pravo e Roncalli sarebbe stato Papa Giovanni XXIII. E nei ristoranti era possibile incontrare De Chirico senza scorta o fotografi al seguito e mettersi a discutere di arte, di storia e di politica. Ed è morto anche Fulvio Roiter, ormai presente solo in una splendida mostra organizzata ai Tre Oci alla Giudecca, scempiata dalla costruzione di orrende case popolari.
Perché il popolo veneziano deve vivere nei pollai.
Ora gli argomenti sono quelli di come gestire i turisti, delle aziende di Murano che chiudono, della sporcizia che dilaga, del Mose che non funziona. Mentre i turisti sono sempre più cafoni e prendono possesso della città convinti che sia sufficiente acquistare un appartamento a Venezia per far parte della storia della Serenissima. Di cui non sanno, ovviamente, proprio nulla.
Un museo meraviglioso che si limita a conservare, maluccio, ciò che ha ereditato. Ma il doge guidava una Serenissima viva, che vivendo cambiava e si confrontava con il mondo. Ora si subisce il mondo e non si ha più nulla da dire.
Photo credits by Augusto Grandi