Ora persino Confindustria comincia a sospettare che un salario minimo, magari persino decente, potrebbe non essere male. Perché se un lavoratore su 10 è in stato di povertà e 4 su 10 hanno retribuzioni vergognosamente basse, diventa difficile trovare acquirenti per le produzioni delle aziende italiane che pagano stipendi da fame e che hanno la pretesa di vendere i prodotti agli stessi lavoratori impoveriti.
Non bastano le notizie addomesticate relative a record strabilianti di esportazioni per nascondere una realtà composta dalla maggioranza di imprese che hanno una quota export inferiore al 50%. Spesso nettamente inferiore. Le soluzioni sono due: o si aumentano i salari o si investe sull’export, pagando adeguatamente i manager che si occupano delle vendite all’estero e spendendo per analisi e studi.
Henry Ford lo aveva capito sin dagli inizi dell’avventura automobilistica. Ed aveva aumentato i salari degli operai affinché potessero acquistare le vetture che producevano. In Italia si è scelta la strada opposta. È l’unico Paese dell’intera area OCSE in cui i salari sono diminuiti negli ultimi 30 anni. Mica male come record di imbecillità. Ovviamente ogni scelta è legittima, a patto di non fingere di stupirsi per le conseguenze.
Si punta su sfruttamento, precarietà, bassi salari e ci si chiede perché la produttività non aumenta come negli altri Paesi. Si pensa di essere i più furbi imitando il Bangladesh e poi si organizzano convegni per cercare di capire le motivazioni della fuga dei cervelli e, ormai, anche delle braccia migliori. Si sprecano montagne di denaro per mantenere sul divano i renitenti alla vanga con redditi al limite della sopravvivenza e poi ci si stupisce se, per la stessa cifra, i disoccupati non accettano 8 ore di lavoro quotidiano per 6 giorni la settimana con straordinari obbligatori e non retribuiti per un’altra decina di ore settimanali.
Eppure, con questa situazione indecente, si pretenderebbe dai dipendenti passione, impegno, attaccamento all’azienda, fedeltà assoluta e nessuna protesta quando vengono messi in cassa integrazione o licenziati “per esigenze aziendali”.
No, non funziona. Ed ora, con un ritardo pluridecennale, persino Confindustria ammette che il salario minimo potrebbe essere una buona idea. Tanto la frenata arriverà al momento di stabilire la cifra. Perché non basta che sia fissa, è indispensabile che sia anche decorosa.
1 commento
Che servano stipendi decenti è chiaro ma per averli bisogna avere un lavoro che non c’è, la deindustrializzazione del nostro paese ha avuto inizio nel lontano 1992 e non accenna a fermarsi.
Allo stato attuale ci sono 5,6 milioni di poveri (fonte ISTAT) sicuramente in crescita, dovranno vivere tutti con il Rdc perchè qui non c’è più niente.