È ufficioso. Anche se non ufficiale ancora: la Pandemia, se mai è davvero esistita, sta giungendo a conclusione. Lo dice Bruxelles, e, quindi, è Vangelo.
Oddio, non è che, proprio, lo abbia detto chiaro. Però il segnale è e resta preciso. Il Moloch burocratico, per mesi ossessionato solo da vaccini, mascherine e affini , ha cominciato ad occuparsi di tutt’altro. Ovvero è tornato a produrre norme, regolamenti comunitari sulle materie più diverse. Quello che faceva prima. Quello che ha sempre fatto. Ovvero consumare inutili ammassi cartacei – contribuendo, così, alla deforestazione amazzonica – dove si parla del… nulla. E questo nella migliore delle ipotesi.
“Dealcolazione parziale”. Quanto a fantasia linguistica, non c’è che dire, gli eurocrati ne hanno. Da vendere. L’orrido neologismo, cacofonico e difficile da pronunciare (e ricordare) ha, per altro, un significato alquanto elementare. Riduzione parziale della componente alcolica. Ovvero tagliare una bevanda alcolica con una percentuale d’acqua. Cosa che, in verità, non ridurrebbe il tasso di alcool della bevanda in questione, ma solo il quantitativo ingerito. In sostanza, se un bicchiere non lo riempi tutto di whisky, ma solo a metà e per l’altra metà aggiungi acqua, o soda, non è che non ti ubriachi. Ci vuole solo un po’ più di tempo. E in aggiunta ti si gonfia la pancia con effetti collaterali sulla minzione notturna…
Sembra, tuttavia, che la preoccupazione dei censori morali di Bruxelles si stia appuntando non sui superalcolici – forse per non urtare la sensibilità di un illustre ex, che ne era appassionato cultore – bensì sul vino.
In buona sostanza, le eccelse menti dell’Europa hanno pensato di fare quello che – come ha argutamente ricordato il mio amico Carlo Marsili – veniva, per tradizione, imputato ai, famigerati, osti dei Castelli Romani.
Allungare il vino con l’acqua.
Solo che i vecchi osti lo facevano nascostamente. Contando sul fatto che, dopo qualche litro, il palato dei beoni di paese non era più in grado di distinguere la qualità di ciò che andavano ingurgitando. E, soprattutto, lo facevano per ragioni venali. Non per una sorta di, pericoloso, moralismo.
Perché la notizia può far sorridere. E suscitare anche l’indignazione dei cultori raffinati di Bacco. Ma cela qualcosa di molto peggiore. E di pericoloso.
Infatti vi è insita la pretesa – di una burocrazia che si è autoproclamata élite di un mastodontico super-stato, privo di radici e identità- di determinare la vita e le scelte dei cittadini. O meglio dei sudditi, sempre più depauperati di ogni diritto. E di ogni vestigia, o parvenza, di partecipazione democratica.
E questo in nome del loro bene. O meglio, della loro Salute. Il novello idolo dell’uomo che aspira ad una, impossibile, immortalità fisica. E che rinuncia a tutto, amare, mangiare, bere… vivere. Per timore di morire. E così, alla fine, muore. Senza avere mai davvero vissuto.
Annacquare il vino… Certo, gli antichi romani erano usi farlo. Perché, il loro, era vino duro. Il Marsico aspro… Ma Orazio, che se ne intendeva, quando beveva Cecubo o Falerno, invitava il coppiere a omettere l’acqua. Era “vinosus”. Come il suo modello, il greco di Mitilene, Alceo. Che cantava le donne, le armi e il vino.
Perché il vino non è, solo, alcool. È un succo che cela in sé una iridescenza di sapori e colori. Assomiglia al sangue. È il succo della vite. E della vita.
Non si beve il vino per tracannare alcool e inebetirsi. L’ebrezza che porta è sempre stata vista come una via per l’altrove… Una strada, un volo che ci conduce in altri cieli. Che ci mette in comunione con Dio. O con gli Dei. Fate un po’ voi….
Non ho, per carità, intenzione di tediare con una dotta disquisizione sulla funzione sacra del vino. Che
inizia, sembra, già prima del Neolitico. Addirittura fra i cacciatori raccoglitori, che scoprirono quelle strane bacche. E le cominciarono a far fermentare in rozze bisacce….
E non voglio, neppure, slanciarmi in qualche pistolotto retorico sul vino nella poesia. E per i poeti.
Però, di fronte a questa “dealcolazione parziale”, non posso non pensare al professor Carducci. Al suo sguardo ironico. Al suo volto sanguigno, da forte bevitore. Ai suoi versi, che cantano il vino.
E ai suoi modi bruschi.
Cosa avrebbe detto, o addirittura cosa avrebbe fatto di fronte a questa ennesima idiozia sesquipedale?
Forse una pioggia di Giambi corrosivi come l’acido…
O forse, un più plebeo e toscano, paio di ceffoni…