Tutti scandalizzati di fronte all’ennesimo caso di assenteismo che, questa volta, riguarda i dipendenti pubblici di una cittadina siciliana. A scandalizzarsi sono soprattutto coloro che timbrano il cartellino in aziende private e, di conseguenza, sono sottoposti a controlli più rigorosi. Una mentalità tutta italiana e tutta sbagliata
I controlli sugli orari sono irrilevanti dal momento che sono del tutto scollegati dalla produttività. Più ore alla scrivania non significano più produzione e più lavoro.
Occorrerebbe invertire completamente i termini del problema e affidare a ciascuno compiti precisi.
Se in un ufficio pubblico un dipendente risolve 10 pratiche in due ore, perché deve restare comunque sul posto di lavoro mentre il suo collega in 8 ore riesce ad occuparsi di sole 5 pratiche?
La logica del tempo di lavoro uguale per tutti non ha più senso, è un retaggio di un passato sempre più lontano.
Bisogna imparare a valutare la qualità del lavoro, magari anche la quantità, ma non più il tempo in azienda. Tutti gli studi hanno dimostrato che, dopo un certo numero di ore, crolla la soglia di attenzione e, di conseguenza, cala la produttività di chi è impegnato in lavori di concetto. Ma cala anche la forza e la manualità di chi svolge lavori fisicamente impegnativi.
Molto meglio, dunque, individuare livelli standard di produttività, lasciando che ciascuno impieghi il tempo necessario per raggiungere i risultati fissati. E chi finisce prima esce prima dal lavoro e si dedica a ciò che preferisce. Invece di perdere tempo in ufficio, infastidendo chi, per pigrizia o incapacità, deve impegnarsi su un arco temporale maggiore.
Ovviamente un cambiamento di questo tipo richiederebbe la capacità dei dirigenti di individuare correttamente dei livelli standard. E non è proprio automatico, considerando la non eccelsa qualità di chi comanda nelle aziende pubbliche e private.
Molto più comodo, per tutti, non scegliere, non premiare, non valutare. Lasciando che aumentino le ore di straordinario, sprecando il tempo ad organizzare viaggi, a chiacchierare intorno alla macchinetta del caffè, a litigare sull’ultimo turno del campionato di calcio.
È vero che un simile cambiamento potrebbe riguardare, al momento, soprattutto i lavori di ufficio, ma la progressiva robotizzazione del lavoro in fabbrica porterà ad una rapida diminuzione degli operai occupati in mansioni ripetitive e di squadra.
Mentre crescerà il telelavoro che non prevede cartellini da timbrare ma risultati da conseguire. E chi è più rapido ed efficiente avrà a disposizione più tempo libero o contratterà aumenti retributivi in cambio di un incremento di produttività impegnando altre ore.
Perché il dato fondamentale da non dimenticare è che la produttività italiana è estremamente bassa. Dunque serve un cambiamento radicale, che parte dagli orari e arriva agli investimenti da parte delle aziende, investimenti che vedono l’Italia sempre in fondo alle classifiche europee e mondiali.
Ma occorre cambiare altrettanto radicalmente i dirigenti intermedi, quelli che non premiano il merito ma l’appartenenza politica e la fedeltà nel settore pubblico e il servilismo ed i servizi fuori orario nel settore privato. Criteri che non incentivano i migliori a lavorare di più ma li spingono ad adeguarsi ai peggiori.
Perché la retorica del senso del dovere non funziona più quando i primi ad ignorare il dovere sono i vertici delle aziende ed i loro immediati sottoposti.
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Più innovazione e progresso tecnologico, più spazio per l’Uomo. Pregevolissime le considerazioni dell’articolo. Basta con l’Uomo legato alla macchina o al computer per il tempo determinato da assurde regole imposte da vecchi criteri “padronali”.