Ciao ciao, Zingaretti. E così, alla fine, lo stillicidio quotidiano ha ottenuto l’effetto sperato: Nicola Zingaretti si è dimesso da segretario di un partito che, ormai, “pensa solo alle poltrone”. Dichiarazione del segretario dimissionario, difficile da contestare. Certo, lui si è impegnato a sbagliare tutto lo sbagliabile. La scelta dei ministri nel governo di Sua Divinità è stata pessima, la nomina dei sottosegretari ha portato alla rinuncia alla qualità in nome della correttezza politica di genere. Il suo sostegno a Barbara D’Urso è parso una boiata pazzesca.
Tutto vero, ma il poveretto non è che avesse a disposizione una squadra di fuoriclasse. Quando ai vertici siede Serracchiani, non è che poi si possa giocare la Champions della politica. In più si è aggiunta la spaccatura dei 5 Stelle che ha scompaginato i giochi di Nicola e di Bettini. Una serie di disastri culminata negli ultimi sondaggi che evidenziavano un crollo del Pd nel caso in cui Conte guidasse i 5 Stelle. Da primo partito con Renzi a quarto con Zingaretti. Preceduto da Lega, 5 Stelle e pure da Fratelli d’Italia.
Se a questo si aggiunge la voglia di poltrone dell’opposizione interna, diventa evidente che il segretario non avesse più chances.

Ma anche tra i 5 Stelle la faida pare solo agli inizi. Dopo l’uscita di scena dei miscredenti che non hanno votato la fiducia a Sua Divinità, è ora Davide Casaleggio a lanciare il Manifesto Controvento che manda in bestia buona parte dei fedelissimi di Giggino e del lìder minimo. Pronti ad uscire in blocco dalla piattaforma Rousseau (così risparmiano 300 euro..). Neppure il tentativo, un po’ paraculo, di Casaleggio jr di creare un Pantheon condivisibile dai vecchi militanti pare aver avuto successo: Giorgio Gaber, Beppe Grillo, Gandhi, Francesco d’Assisi, Dario Fo, Casaleggio padre. Al di là di alcuni accostamenti un po’ arditi, e che forse i defunti non avrebbero gradito, il nuovo corso pentastellato ha fatto sapere di considerare Controvento un atto ostile, di rottura definitiva con il Movimento.